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8. Nel segno di Dante

«Ho cominciato a scrivere perché sentivo il bisogno di dire certe cose e di esprimermi, e quindi scrivevo. Perché certe cose non le puoi dire a nessuno e allora le scrivi. […] Scrivere è necessario, un bisogno, è come sentire il bisogno di mangiare e poi dentro ti si apre una strada più aperta più consapevole. E poi diventi sempre più cosciente». 

Per dare voce a questo bisogno Franco Loi ha iniziato a scrivere servendosi del dialetto, non il dialetto della grande tradizione, ma una lingua plasmata attraverso la forza del ricordo di quelli avvenimenti.

Loi segue l’insegnamento dantesco: tratta la lingua non come un calco, ma come un’espressione emotiva e sonora dell’esperienza che, in un movimento di transizione incosciente, induce alla scrittura con una forte libertà nell’uso della parola. Un modo di scrivere che più che con la testa, si fa con la memoria, il cuore e l’ascolto: degli altri, ma anche di sé e della propria voce interiore, che, sempre percorrendo il cammino tracciato da Dante, “ditta dentro”. 

«Quando uno si mette a scrivere non ha in mente un linguaggio preciso, è il lavoro che ti fa comprendere il tuo personale rapporto con il linguaggio […] Dante mi ha fatto amare la sua libertà […] prende lo spirito del linguaggio popolare e lo trasforma in sequenze musicali e significanti con la massima libertà. Quando non trova una parola, l’inventa; muta un sostantivo in un verbo, o un aggettivo in un sostantivo; usa persino vocaboli e verbi non fiorentini».