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IX. 1909

Alfredo Baruffi torna per la terza volta a decorare le pagine di “Novissima”, per questa occasione cura anche la copertina: tre figure femminili posano in perfetta simmetria con l’ambiente vegetale e floreale circostante. Dettaglio ornamentale ripreso anche all’interno della rivista dove l’artista rappresenta la personificazione di Arte, Amore, Genialità, Gioventù, Grazia, Letizia, Fantasia e Poesia, contornate da eleganti cornici.

Da quando nel 1902 l’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna aveva presentato al pubblico italiano Gustave Klimt, erano stati in molti gli artisti che avevano cominciato ad avvicinarsi all’arte della Secessione Viennese. Tra questi anche due assidui collaboratori di “Novissima” come Castellucci e Dudovich i quali avevano ricevuto una spiccata formazione europea e quindi un’influenza ancora maggiore dell’ambito secessionista. Si potrebbe dire che questa influenza è particolarmente rispecchiata dagli ultimi due numeri di “Novissima” (1909 e 1910).

La rivista si apre con la presentazione ai lettori della riproduzione completa del bozzetto di Aristide Sartorio per il fregio della nuova aula dei deputati presso Palazzo Montecitorio a Roma. Nel novembre 1908 la stampa italiana si era tanto occupata di fornire notizie e anche piccole immagini di questa imponente opera, il pregio di “Novissima” stava nella pubblicazione dell’opera in sedici grandi tavole che permettevano di contemplare l’opera in un formato e in una cura grafica senza precedenti editoriali.

I successivi scritti e illustrazioni non sono legati da un tema comune, ma si sviluppano in autonomia. Ritroviamo artisti ormai diventati veterani di “Novissima”: Duilio Cambellotti, Giacomo Balla, Leopoldo Melticovitz e ovviamente Aleardo Terzi che riprende il tema femminile in tre tele in cui la donna viene rappresentata in diversi momenti della giornata: al Mattino durante un lento risveglio, al Meriggio in un’uscita soleggiata, e alla Sera in abiti eleganti. A differenza degli ultimi contributi di Terzi per “Novissima” – dove il pittore siciliano sembrava aver perso interesse per il colore, sperimentando piuttosto un costante uso del bianco nero – l’elemento cromatico riacquista centralità nell’opera.