
3.3 L’autopsia sul cadavere di Mussolini

Gianfranco Bianchi, nel capitolo intitolato L’enigma di un grilletto nel volume Mussolini aprile ’45: l’epilogo, si interroga su quale sia stato il colpo fatale che causò effettivamente la morte del duce. Su questo argomento sono state scritte pagine e pagine di memorie storiche per cercare di ricostruire quello che effettivamente accadde nel momento dell’esecuzione del duce.
Nella sua indagine Bianchi cercò di partire da un parere “scientifico”. Per il tramite del professor Tommaso Zerbi, lo storico contattò direttamente il professor Mario Cattabeni – il medico legale che il 30 aprile 1945 eseguì l’autopsia sul cadavere di Benito Mussolini deceduto il 28 aprile 1945 – per sottoporgli «una questione di interesse storiografico che solo Lei potrebbe risolvere».
Secondo quanto affermato in una lettera che Bianchi inviò al Cattabeni l’11 aprile 1962, rispetto alle ricerche che aveva condotto fino a quel momento, lo storico era giunto alla convinzione che Mussolini non era stato ucciso dal colonello Valerio (Walter Audisio), colui che si era dichiarato l’unico esecutore materiale. I dubbi di Bianchi su chi avesse sparato il secondo, fatale, colpo erano rivolti ad altri due partigiani presenti sul luogo: Guido Lampredi o Michele Moretti. La questione posta al medico legale era soprattutto legata all’arco di tempo effettivamente trascorso tra la prima raffica e il secondo colpo e, se dopo la prima raffica, Mussolini fosse ancora effettivamente vivo da rendere necessario lo sparo di un secondo colpo.
Il 18 giugno 1962, il medico legale Cattabeni risponde al Bianchi con queste parole:
«Sulla base dei reperti anatomo-patologici si può senz’altro confermare che la morte di Mussolini non è stata immediata e che pertanto per qualche minuto dopo le lesioni inferte con una scarica di mitra al petto la vittima abbia potuto dare qualche segno di vita così da giustificare un ulteriore intervento per il cosiddetto colpo di grazia che in ogni caso però non ha raggiunto il capo poiché in questa sede non è stata riscontrata alcuna lesione d’arma da fuoco con caratteristiche di lesione prodotta in vita.
Va tenuto presente che un foro d’entrata con caratteristiche di lesione premortale è stato riscontrato, ad esempio, nella regione più alta del collo e che questo potrebbe essere il sopra accennato colpo di grazia, anche se tale in effetti – molto probabilmente – non è stato, poiché le lesioni principali, interessanti tra l’altro l’aorta, erano idonee a produrre la morte nello spazio di pochi minuti.
Sta di fatto che morte immediata con la prima scarica non vi è stata perché si sono constatate estese infiltrazioni emorragiche mediastiniche incompatibili con la istantaneità del decesso».
Per conto di questa corrispondenza intrattenuta dal professor Bianchi con il dottor Cattabeni, lo storico, oltre che del parere riportato in questa lettera, venne in possesso anche di una copia del «verbale di necroscopia» eseguita sul cadavere di Benito Mussolini, come si evince dal documento qui esposto.